Enfys... che posso scriverti? Anzitutto certo che ti perdono
, è il mio turno a chiederti venia... ehi, il ritardo, non dartene pensiero, ognuno di noi deve incastrare impegni e fissare priorità, come vedi pure io ti rispondo solo ora, in questi giorni posso proprio dire „work sucks“
.
Ho letto con la attenzione quanto hai scritto e mi sono ritagliato il tempo per risponderti con la dovuta cura.
Anzitutto voglio ringraziarti per il pensiero confortante con cui hai concluso il posto, e per tutti gli spunti stimolanti che stiamo condividendo. Inizio in ordine:
Prima di iniziare, però, avrei da farti una domanda. Ho provato a cercare il sostantivo, ma non ho trovato post che dessero la definizione di allumista. Chi sarebbe, precisamente? Scusami per la domanda, ma facevo un po' fatica a comprendere la situazione da te descritta.
Hai ragione a chiedere, è un argomento complesso e spinoso, ti devo una spiegazione: molto stringatamente, un rapporto allumistico (dal termine francese "allumeuse") è una forma di molestia morale, per stereotipo incentrato sulla manipolazione di un desiderio di tipo erotico-affettivo; in realtà rapporti di questo tipo possono instaurarsi in innumerevoli situazioni quotidiane: ad esempio nei rapporti di lavoro, tra professore e studenti. Per chiarezza cito da un fondo „illuminante“ di Gabriele Lenzi: "Una persona A fa insorgere o alimenta in una seconda persona, vittima V della molestia, il desiderio che avvenga un certo fatto X, che coinvolge entrambi, che è di grande importanza emotiva e psicologica almeno per V e in cui A ha un ruolo centrale anche come mezzo per ottenere X. Dopodichè A rimanda asintoticamente la realizzazione di X, assumendo il ruolo di potere che ne deriva, mantenendo V legato al desiderio e alla speranza che X accada.".
Questa la teoria, nella pratica, nel mio personale caso, è successo che anni fa ho conosciuto una ragazza. Hai presente quando di primo acchito ti trovi in piena sintonia con una persona sconosciuta? Così, semplicemente. Quando, per dirla con parole povere, hai da subito l'impressione paradossale ma gratificante di "conoscerla da sempre". Ecco, così l'ho percepito dal primo momento, nessuna affettazione, nessuna forzatura: dalle prime parole scambiate, attrazione, rispetto, credito di fiducia, un crescendo di stima. Voglia di conoscerla, voglia di stare insieme, di ridere insieme. Insomma, un'infatuazione come da copione, quel che si definisce un colpo di fulmine. I primi mesi, nonostante la lontananza (studentessa in visita a Verona era dovuta tornare a casa in Sicilia), tutto perfetto. Invece nel corso dei complessivi quattro anni (comprese le sparizioni di 10 e poi di 8 mesi) successivi mi sono dovuto arrendere all'evidenza: promesse su promesse con sistematiche scuse, peraltro sempre plausibili, chiarimenti negati, menzogne più o meno incongruenti, defilamento al primo sentore di “difficoltà” o reazioni sconclusionate ad ogni mio tentativo di chiarire. Al verificarsi delle prime incongruenze, accorgendomi delle menzogne, ho avuto i primi dubbi da cui poi, faticosamente, aiutato anche dal caso, ho trovato il modo di uscirne. Quel che è incomprensibile a chi per fortuna non ha avuto contatto con personalità patologiche è come si possa rimanere invischiati in cotali situazioni degeneri, contro ogni apparente buon senso. Il problema è che queste persone hanno un'abilità inquietante non solo a recitare, ma quel che è più infido, a percepire i desideri e le esigenze più intime della vittima facendone uso per legarla a se per poi manipolarla, tramite la comunicazione, usando i paradossi (avvicinati, non mi puoi avere, allontanati, mi puoi avere), i non-detti, le accuse gratuite (tra tutte il ricorrente “non capisci”) e le reazione rabbiosa ai tentativi di chiarimento. Poi le menzogne, la recita ed un clima di incertezza per confondere la vittima. Ancora, il non rispondere o lasciarsi tempo per farlo, salvo esigere risposte immediate alle sue domande.
Ecco, questa per sommi capi, la relazione patologica con cui ho dovuto fare i conti. Non tutto il male viene per nuocere, quante volte sentiamo dirlo? Eppure tirando le somme è banalmente vero. Ormai sono passati quasi 10 anni, negli ultimi anni non mi ha più cercato, sono irreperibile su fb ed altri social, proprio per evitare alla radice ogni contatto. Ho imparato qualcosa che ingenuamente non avrei neanche mai immaginato, avendo la fortuna di uscirne acciaccato ma non spezzato, come purtroppo accade troppo spesso. Ho impiegato un po di tempo, ma alla fine sono riuscito a digerire il tutto, ormai è un ricordo che sta sbiadendo. Scrivere cosi invero è un po assettico, ma tutto quanto era permeato di tristezza e malinconia. Mi ha aiutato anche il caso: un'amica alle prese con un rapporto con un narcisista patologico, dal quale ancora oggi non ne è uscita del tutto, mi ha aperto gli occhi, letteralmente. Ho riflettuto in più occasioni sui nostri comportamenti e reciproci ruoli, ed anche in questo istante ripercorro mentalmente tutta la storia, forse si poteva risolverla diversamente, forse. Ma in tali contesti non c'è molto da fare: non si riesce a comunicare, tutto si risolve in un mero esercizio di potere da parte di una persona che agisce con un distacco emotivo. È un dato di fatto, peraltro spesso ignorato, che nessuno può guarire una malattia o risolvere i conflitti interiori di un'altra persona. Tutto quanto parte da noi stessi, possiamo essere aiutati e supportati, ma dipende tutto dalla nostra volontà. È triste, ma quali alternative potevano esserci?Non so dirti se sia stato d'aiuto il fatto essere pressoché immune alle dipendenze, o gli 8 anni di servizio in ambulanza, durante il quale il confronto con situazioni limite, negative e positive, è inevitabile. Ancora può essere che come asessuale, non sono suscettibile alla seduzione con finalità sessuale, insomma che lei, pur sapendolo, non abbia dato peso a questo, puntando a questa classica „esca“. Non che ormai sia importante, semmai è utile condividere, sapere in questi casi è salvifico. Ecco perché un giorno vorrei aprire un thread su questo tema.
Forse ora comprendi meglio (se così non fosse, chiedi tranquillamente lumi, visto che ho condensato molto per non assorbire troppo spazio) perché ho scritto che questo rapporto non fa testo. Quattro anni e in definitiva non so chi era lei. Avevo davanti un simulacro, non ho alcun riscontro per poter definire cosa era inventato e cosa non, dove iniziava e dove finiva la recita. Un'unica forzatura, infatuazione ed innamoramento basati su un'illusione. Cosa mi è rimasto? Una maggiore consapevolezza complessiva, una maggiore attenzione alle implicazioni della comunicazione ed alle insidie connesse.
Passiamo oltre.. a proposito del nostro filone “bambini” voglio citare la canzone di Lucio Battisti, „Nell'cuore, nell'anima“, come contributo „extra“, visto che l'hanno passata stamattina alla radio, si ricollega a diversi altri punti che stiamo eviscerando:
Un bambino conoscerai
non ridere
non ridere di lui
aah...
Nel mio cuor
nell'anima
c'e' un prato verde che mai
nessuno ha mai calpestato, nessuno,
se tu vorrai - yeahh
conoscerlo - se tu vorrai conoscerlo
cammina piano perche' - cammina piano perche'
nel mio silenzio
anche un sorriso puo' fare un rumore.
(paaaa.. paaa..) - non parlare
(paaaa.. paaa..) - non parlare
(paaaa.. paaa..) - non parlare
(paaaa.. paaa..) - non parlare
(paaaa.. paaa..) - non parlare...
Nel mio cuor,
nell'anima
tra fili d'erba vedrai
ombre lontane
di gente sola
che per un attimo - attimo
e' stata qui
e che ora amo perche' - amo perche'
se n'e' andata via
per lasciare un posto a te
per lasciare un posto a te
Per lasciare un posto a te.
Nel mio cuor,
nell'anima
tra fili d'erba vedrai...
Il bambino qua ha sicuramente un'immagine positiva, da la propria disponibilità, chiedendo rispetto; il prato verde suggerisce apertura, ampiezza. Oserei dire che viene richiamato il mito della fenice, nel suo simbolico rinascere; il riuscire a rialzarsi ogni volta, rispettando noi stessi, sapendo che faremo di tutto per non arrecare dispiacere, per il semplice fatto che sappiamo cosa si prova . Anche l'assenza di rancore “amo perché se n'è andata via”, anzi il superamento del passato “ombre lontane di gente sola” e, ancora “se n'è andata via”, il vivere nell'oggi, nell'istante, accettando quel che è stato, come pure l'accenno a quel che potrà essere, sono istintivi nel bambino, auspicabili per noi adulti. Quella “gente sola” mi lascia un po perplesso: una rivincita su chi in passato ha tradito la fiducia ed ora paga uno scotto? L'affermazione “che ora amo perché... se n'è andata per lasciare il posto a te” invece attesta l'assenza di rancore; il passato ormai lasciato alle spalle che non interferisce con il presente, il “posto a te”, il “vedrai” che esprime la speranza, un ottimistico auspicio.
Bo, questo è una riflessione estemporanea. Relativamente alle influenze e sul fatto o meno che possano essere revisionate, confermate o superate. Sono convinto che sia possibile farlo. In fin dei conti hai riportato il detto “non si nasce imparati”. Ecco, si impara. Certo richiede un interessamento volontario, perché è chiaro che un atteggiamento superficiale menefreghista non porta da nessuna parte. Vedi, quanto ti ho scritto nell'ultimo post è frutto di un mio percorso, lungo una vita. Se ora ho maggiore consapevolezza l'ho raggiunta solo al prezzo di cadere a ripetizione, sbagliando, e sono conscio che sono arrivato forse a metà del mio personale cammino. Sai cosa mi ha offerto un prezioso, sincero aiuto? Leggere. Le amicizie, negli anni sempre meno ma più sentite.
Dunque, quali sono i condizionamenti che tutti bene o male sorbiamo fin da piccoli? Ci sono quelli più palesi, connessi agli stereotipi dei ruoli (per restare ai cartoni: principessa inerme-principe salvatore) e quelli più subdoli, sfuggenti, ad esempio, il “bisogno”: è pressoché normale affermare i propri bisogni, anche nelle relazioni sentimentali. Riflettendoci, dire ad una persona “ho bisogno di te” o “senza te la mia vita non ha senso” ecc. è un ricatto che non lascia libertà di scelta, quando invece andrebbe sempre offerta la propria disponibilità e preservata la libertà di scelta. Ancora, la gelosia, considerata spesso quale “prova” dell'amore: forse a dosi omeopatiche, in realtà la gelosia è sintomo di insicurezza, di mancanza di fiducia nell'altr*. Se ti va, potremmo man mano creare un elenco con tutti gli ammennicoli vari ed assortiti che ci verranno in mente. Mmm, che ne dici della felicità?
“Il fatto di non essere simile ai miei coetanei anche in questo era un po' triste (ho sempre vissuto con sofferenza la diversità, perché sin da piccola ho avuto interessi per nulla simili a quelli delle bambine o delle ragazzine della mia età”.
Se affermo che comprendo pienamente il tuo stato d'animo, lo posso fare solo perchè ho sperimentato similmente a te l'esperienza della diversità e degli interessi poco o nulla condivisi, meno da bambino, più da adolescente, ci sono stati anni in cui il mio disinteresse verso il sesso mi faceva sentire alienato, la mancanza di qualcuno con cui parlare ha reso tutto più complesso e mentirei se affermassi che all'epoca non ho mai sofferto la solitudine o non ero tormentato dai dubbi sul mio “essere sbagliato”. Poi però le cose si sono sistemate, non è che abbia scelto di accettare o meno l'asessualità, direi che è stato più un processo graduale sino a quando l'ho percepita come qualcosa di intimamente mio. È stato un punto di partenza, come ho scritto prima, arrivare dove sono ora ha richiesto tempo, molto tempo. La prima lezione è stato dover accettare il fatto che la diversità fa paura e richiama avversità, palese (aggressività) o subdola (l'isolare il diverso). Dover restare alla finestra senza comprendere né condividere il motivo è debilitante. Hai scritto di come ti senti, di cosa provi, della tristezza che ti attanaglia. Per quel che può valere, posso solo dirti di non sentirti in colpa per come sei, per non essere omologata al comune agire e pensare. Hai scritto bene, non puoi modificare con forzature chi sei e quel che provi, o meglio, puoi farlo, ma cadresti nei sensi di vuoto, e mi sento di poter scriverti che non sarebbe un bel vivere, non lo è mai se seppelliamo quanto siamo con una facciata e le recite.
Permetti quest'altra riflessione: il fatto che tu sia attirata generalmente dall'aspetto esteriore non è nulla di per se negativo. Come hai scritto, è il tuo personale punto di partenza, se è vero che l'aspetto fisico non è essenziale, nulla vieta però che possa essere importante. Hai scritto appunto che un eventuale interesse ad approfondire una conoscenza parte dall'aspetto “a te gradevole”. Ancora, hai giustamente scritto che ci sono stati casi minori in cui l'attrazione estica-esteriore (complichiamoci la vita
) è passata in secondo piano, e sei stata attirata dall'intelligenza o dal talento; immagino che questo sia avvenuto spontaneamente, senza che tu si sforzata. Vedi, se cerchiamo di forzare “le cose” siamo destinati al fallimento, perché manca l'autenticità. Il tuo essere attratta dall'aspetto fisico: dato che osservi non un quadro statico, o una fotografia, ma una persona dinamica, osservi l'insieme dei tratti somatici, la fisionomia, la postura, l'atteggiamento complessivo nei tuoi confronti: l'insieme di questi elementi compongono l'immagine, l'esteriorità che percepisci, giusto? Altrimenti detto, anche tu “reagirai” in maniera differente a seconda di un' atteggiamento positivo o negativo, percepirai e valuterai la sincerità o affettazione di un sorriso, l'apertura o la chiusura nei tuoi confronti. Enfys, che differenza percepisci tra la tua iniziale attrazione estetica-esteriore, destinata ad una possibile ma non scontata predilezione, e la mia iniziale interazione, destinata ad una possibile ma non scontata infatuazione? In entrambi i casi concorrono ad un risultato diversi fattori, necessariamente preminentemente esteriori (sorrisi, gesti, postura) partendo da due punti di partenza differenti. In entrambi i casi si tratta di un salto nel buio, nel senso che siamo di fronte a persone sconosciute. Se ci pensi, anch'io devo basarmi necessariamente sull'esteriorità e su mere deduzioni sulla base di poche, sparute informazioni (questo è il delicato momento in cui è facile cadere nell'idealizzazione). L'interiorità dell'altra persona per essere scoperta, o meglio, imparata, richiede tempo, costanza, dedizione. Richiede riscontro, interesse contraccambiato. Se “qualcosa” sveglia il nostro interesse, se sperimentiamo corresponsione, siamo spinti ad approfondire. Hai presente quando si dice che “un sorriso chiama un sorriso”, o quando tu stessa scrivi che ti senti positiva in presenza di positività? Il meccanismo è sempre lo stesso, si potrebbe dire che abbiamo bisogno di una sorta di incentivo per impegnarci. Senza riscontro (cioè se non capiamo come e se l'altra persona ha recepito un nostro input) ci troviamo in un vicolo cieco, non riusciamo ad andare avanti. Questo per inciso è una dei modi in cui si può manipolare una persona, questo perché il mancato riscontro ha come conseguenza una carenza di informazioni e quindi una situazione di confusione.
Enfys, voglio dirti che non è una questione di qualità del metodo, ne tra te e me, ne tra te e nessun altro. Ognuno definisce i propri criteri, e ripeto, al mio ci sono arrivato dopo anni. Le osservazioni dette “tanto per” non fanno testo: queste persone che ti accusano in fondo non fanno che giudicarti superficialmente, basandosi sulla mera esteriorità. Un* amic*, chiunque ti porti rispetto non ti giudica e non muove accuse. Sai, è come quando mi è stato detto che non capisco niente, solo perché in quel frangente non avevo la testa libera per conoscere la “tipa che non fa altro che fissarti”. O che il mio modo di vedere le cose sia solo un'accozzaglia di stronzate. E via di questo passo. Le critiche vanno bene, se sono costruttive, ma non se seminate a caso.
Quello che intendo è che non idealizzi, cioè l'esteriorità per te è la tappa iniziale, non la meta, tant'è vero che l'esito non è predefinito, di più, come hai scritto, in determinati casi (positivo, perché sei tu che compi una scelta, senza essere condizionata dalla disperazione) provi il desiderio di conoscere la persona che ha attirato la tua attenzione. Come ho scritto, l'esito è totalmente aperto, molte volte una conoscenza promettente cade nell'indifferenza, siamo delusi ovvero deludiamo le attese, un'amicizia si esaurisce per mancanza di manutenzione, per logorio, per disinteresse reciproco. Rinasce, a distanza di anni. Quel che secondo me conta è che vi sia onestà, assenza di inganno, quel che penso sia il tuo “procedere con i piedi di piombo”. Insomma, un agire responsabile.
Senti un po, ti ho descritto quello che provo se sono infatuato, quello che ascrivo alla sfera romantica (qua potremmo disquisire a iosa). Quel che è fuori da questa sfera sono tutti gli ammennicoli vari ed assortiti à la Disney, i sentimenti pesanti, carichi. Reputo invece importante, essenziale il contatto fisico (anche con amici e in certa misura con gli estranei): dal dare la mano, al tenerla per dare conforto, agli abbracci. Non do credito alla gelosia, tengo in debito conto la differenza tra occuparsi e preoccuparsi, ho una altissima considerazione del rispetto e quindi della libertà reciproca. Mmm, qua ti dovrò spiegare meglio, penso sia di fondamentale importanza per aiutarti. Un libro che aderisce al mio modo di sentire è “Norwegian Wood – Tokyo Blues” di Murakami. Forse ti po essere utile per comprendere meglio anche gli aspetti meno ovvi e le implicazioni profonde del romaticismo come lo vivo io.
Ora Enfys ti scriverò delle impressioni che ho come lettore, senza puntare il dito:
“l'idea che mi mettesse in disparte, non mi parlasse e avesse un'intesa maggiore con le mie conoscenti anziché con me, mi creava non pochi problemi”
Questo creerebbe problemi a prescindere. Stai descrivendo una tua impressione, quello che intimamente percepivi, o una situazione con la quale ti sei dovuta confrontare che successivamente ha generato l'idea, intesa come possibilità che si ripetesse?
“Continuavo a sminuire i miei sentimenti, perché era evidente che mancasse l'attrazione romantica, ma l'enorme delusione e dispiacere per il modo in cui la faccenda si è poi risolta, mi dimostra che ci tenevo parecchio e che non ero da meno di chi provava l'amore romantico”
Lui dov'era, Enfys, si è prodigato ad ascoltarti, ad esaminare il proprio comportamento, insomma ha comunicato con te? Non a consolarti, ma adoperandosi affinché tu potessi trovare le risposte ai tuoi dubbi? Occupandosi, non preoccupandosi, di te, come tu ti sei occupata di lui? Perdona le domande, non voglio essere indiscreto. È solo che leggo dei tuoi dubbi, dei tuoi sforzi, della tua tristezza. Ma appunto, lui dov'era? Sai, spesso ci addossiamo le responsabilità nell'indifferenza del prossimo, ed è così dannatamente facile alimentare in un'altra persona i sensi di colpa. Leggendoti, vedo la “tua persona”, ma spicca l'assenza cruciale di “lui”, e ricavo l'impressione lui si sia lasciato trascinare senza affrontare le difficoltà, fino a quando si è stufato. Forse è prematuro, probabilmente l'hai già fatto, ma hai provato a cambiare punto di vista? Hai provato a cercare di “vederti” come lui ti “vedeva”?
Si, non sei da meno di chi prova l'amore,
qual esso sia , ad iniziare dal tuo non aver tirato in barca i remi alla prima difficoltà, girando le spalle. Sai, forse hai "solo" le idee ben chiare su cosa vuoi e su cosa non vuoi, ed è questo a condizionare le tue scelte, ci hai mai pensato? nel quotidiano sai cosa vuoi e come ottenerlo, arrivandoci senza tanti giri?
Senti, se ti va, potresti spiegarmi cosa provi nei confronti di un ragazzo che prediligi? cos'è è che ti spinge a voler stare con quella persona, ti sprona a profondere il tuo impegno. Voglio cercare di capire meglio, quando ero più giovane ho sperimentato una fase in cui, identificando il desiderio sessuale con l'innamoramento (altro condizionamento) e dato il mio disinteresse sessuale non ero in grado di definire ciò che provavo, con i conseguenti conflitti. Ovviamente, sentiti libera di rispondermi o meno.
Concordo pienamente con quanto hai scritto del “comune pensare”. Insegnare il rispetto, si, decisamente. L'educazione all'amore, sarebbe utile. Ma finché la società dà credito al consumismo non c'è da illudersi: a tutto è stato dato un prezzo, e stracciato il valore. Quando tutto si può acquistare facilmente, pure la stessa Vita, prevale la mentalità del buttare e sostituire col nuovo, la manutenzione è un fastidio che si evita.
A questa stregua, è vana la speranza, un'utopia? Si, temo.
Eppure, lo sai tu e lo so io, ci sono le eccezioni, rare, ma quanto bene fa sapere che c'è chi non segue la linea prefissata. Al riguardo si era espresso anche Umberto Eco:
Umberto Eco - „La società liquida“ L'Espresso 29 maggio 2015
«emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo ‘soggettivismo' ha minato le basi della modernità, l'ha resa fragile: una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemica), e le uniche soluzioni per l'individuo senza punti di riferimento sono da un lato l'apparire a tutti i costi, l'apparire come valore […] e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all'altro in una sorta di bulimia senza scopo.»
Mmm, sto scrivendo un altro papiro, bello, ma temo di approfittare della tua pazienza... anzi, dato che la tranquillità in questi giorni è un lusso, sto scrivendo a spizzichi e mozzichi, senza rileggere, che so già che aggiungerei e non finirei, chiedo di portar pazienza per eventuali passaggi poco brillanti ovvero oscuri.
Comprendo e condivido anche la tua riflessione sull'atteggiamento delle donne messe innanzi alla “mia” asessualità. Aggiungerei che la reazione stizzita o rabbiosa si spiega semplicemente pensando ai bambini (vedi come è utile evitare gli scompartimenti stagni e pensare apertamente): non ottengo ciò che voglio/desidero, esterno il mio disappunto. Se nel bambino è comprensibile, in una persona adulta, in teoria dotata di competenza sociale, è perlomeno fuori luogo. Ok, potrei dire che indirettamente attesta l'interesse nei miei confronti, a parte però la dubbia utilità mi domando se l'interesse era nei confronti della mia persona o si rifletteva in una mia idealizzazione. Ai posteri l'ardua sentenza. Sai cosa mi intristisce ogni volta: perché questi aut-aut, senza pormi domande critiche, indagare, non dico mettersi in gioco, ma parlare serenamente, anche a distanza di tempo? Ripeto, potrei capire se lo dicessi messo alle strette, quando non è più procrastinabile. Ma lo dico apposta sin dall'inizio, ovvero, quando c'è una minima base di stima reciproca. Indovina una cosa: riguardo all'argomento sesso sento sempre lo stesso mantra, variazioni marginali di “gli uomini sono fissati, vogliono solo portarti a letto, non puoi parlare”. Si sa, la coerenza non è di questo mondo. Transeat, bisogna guardare avanti. Si, la canzone di Battisti calza a pennello, decisamente.
“io penso che per amore si debba fare tutto per mantenere il rapporto, altrimenti non si ha davvero a cuore il rapporto e la persona amata”
Quanto hai ragione, ben scritto. Si, condivido anche la tua riflessione sulla positività condivisa, è proprio così, semplicemente. Ecco, questa positività in cui credi è qualcosa che ti sarà sempre utile, per quanto possano andare male le cose.
Ecco, chiudo qua, Enfys, scusa ancora la mia lungaggine, e un grazie sincero per aver letto i miei posti cervellotici
e grazie per questo non scontato scambio di riflessioni.